Gaspare de Caro, Una sobria intransigenza

Il 6 ottobre del 2015, ci ha lasciati Gaspare de Caro, uno degli ultimi maestri di cui ora non possiamo fare a meno. Ci ha lasciato un comunista, uno storico straordinario, un autore di fondamentale importanza per chiunque voglia comprendere la storia del capitalismo e delle classi in lotta. Gaspare de Caro nasce a Roma nel 1930, da genitori di origini calabresi che «non avevano quarant’anni in due ed erano assai meno che poveri». Cresce in quegli anni in una capitale «cialtrona e intontita dalla propaganda mussoliniana», che tratteggiò in modo memorabile in due libri dati alle stampe nella seconda metà del duemila. Si laurea con Federico Chabod a Napoli, lascia il Partito Comunista nel 1956 dopo i fatti d’Ungheria ed è tra gli animatori dei «Quaderni Rossi» nei quali, nel n. 3/1962, insieme a Umberto Coldagelli, ci regala un testo chiave per la lettura dello sviluppo capitalistico italiano: Alcune ipotesi di ricerca marxista sulla storia contemporanea. Questo lavoro, come anche i successivi, è stato significativo per una intera generazione; è stato una introduzione, come ha raccontato Toni Negri, alla metodologia storiografica legata all’impegni politico. Gli anni ’60 per Gaspare de Caro sono stati anche gli anni di «Classe Operaia», di Gobetti e di Salvemini, ai quali lavora lungamente con risultati innovativi, “inaffondabili” e scomodi, tenacemente combattuti dalla storiografia ufficiale di sinistra che ha tramato (senza entrare nel merito dei contenuti) per bandirli e farli eclissare, riuscendoci solamente molti anni dopo la loro pubblicazione presso Einaudi e Utet. Abbiamo detto “inaffondabili”: per il rigore scientifico, per la mole e la qualità della documentazione di riferimento e per la loro capacità di demistificazione.